Ogni giorno dopo la messa i cattolici in Ucraina fanno memoria della via crucis di Gesù e intonano un canto che ripercorre la sua passione. Stazione dopo stazione. “È il simbolo della sofferenza del popolo ucraino. Sono le realtà diverse e dolorose che vivono le persone. Le famiglie che non hanno più notizie dei loro cari impegnati sul fronte. I soldati che sono morti sul fronte. I giovani feriti e con corpi mutilati per sempre. Gli sfollati senza casa. La nostra crucis non è una riflessione teologica. È composta dalla vita delle nostre persone. Si può toccare con mano. Ogni stazione per noi ha un significato, un volto, una situazione”. A parlare è mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare della diocesi di Kyiv-Zhytomyr e presidente di Caritas-Spes. Il Sir lo ha raggiunto telefonicamente per chiedergli come si sta vivendo in Ucraina il periodo quaresimale alla vigilia del 24 febbraio, il giorno in cui due anni fa, ebbe inizio l’invasione delle forze russe su tutto il territorio ucraino. “Capiamo cosa significa essere umili – racconta - quando vediamo piangere le famiglie ai funerali. Proprio ieri ho celebrato la messa per un ragazzo ucciso sul fronte. Mi ha chiamato il fratello, dicendo che a giorni arriverà la salma. Che parole dire? Non ci sono parole, solo silenzio”.
“Ogni attacco che fanno i russi, ogni missile che viene lanciato, ogni drone che passa, diventa una stazione della via crucis”. “Quando partono le sirene in tutto il paese – racconta mons. Yazlovetskyi - subito dopo andiamo a leggere le notizie per sapere quale città è stata colpita e dove è caduto il missile. Si contano i morti e i feriti. 10 morti, 20 morti, 25 morti…si scava tra le macerie nella speranza di trovare qualcuno ancora vivo. Ogni attacco dei russi diventa per noi una stazione della via crucis. Gesù che sale sul calvario, Gesù che cade ed è ferito. Gesù che porta la Croce. Ogni bombardamento è come una stazione dove si prega e si piange”. Il vescovo confida di aver molto pensato a cosa dire sapendo di questa intervista al Sir. “Spesso mi chiedono come si sentono gli ucraini. Rispondo: le persone parlano di grande stanchezza e confessano anche di sentirsi un po’ soli in questa prova”. “Certo sappiamo che ci sono i paesi che ci sostengono”, aggiunge. “Ma questo sostegno assomiglia ad una arena dove combattono due gladiatori. Ci sono quelli che tifano per uno e quelli che tifano per l'altro. E quando i nostri alleati vedono che stiamo perdendo, gettano nell’arena le armi che ci servono, ma su quel campo a combattere siamo noi e siamo soli. Ci sentiamo così, come gladiatori in un’arena”.
“In Quaresima siamo invitati ad entrare con Gesù nel deserto”, spiega il vescovo. “Non è un luogo di piacere. È un tempo di prove e anche di tentazioni. È un luogo difficile dove stare. Da due anni come popolo ucraino siamo in questo deserto che è la guerra. Ci sentiamo tristi, soli, stanchi. Più passa il tempo, più le persone, anche quelle che credono, vedono che dal punto di vista umano la soluzione non esiste. Come nel deserto, siamo privati degli amici, delle persone care, del cibo e delle comodità che avevamo prima. Come in un deserto, camminiamo tra le dune ma non ne vediamo la fine. A volte sembra di scorgere all’orizzonte una via di uscita ma poi ci accorgiamo che quella visione era solo un miraggio. Come è arrivato, sparisce”. Ma proprio quando tutto intorno crolla e i piedi affondano nella sabbia, “Dio ci porta nel deserto perchè ci vuole insegnare una cosa. Questa esperienza ci aiuta a capire quali sono le cose essenziali della vita. Ci chiede di entrare in una relazione più profonda con Lui e ci dice che dobbiamo poggiare la nostra fiducia su di Lui”. Preghiere, digiuni, ma anche lacrime e privazioni forzate, “tutto è per la pace nel nostro paese e nei paesi dove ci sono le guerre”. “C’è rabbia ma non c’è odio. Non ho mai sentito dar voce a parole di odio. Mai. Quello che vogliamo è la pace, però una pace giusta. Aiutate l'Ucraina a fermare la guerra. Ma chiediamo anche: per cosa sono morte tutte queste persone? È giusto che chi ha causato tutta questa distruzione, non deve dare conto a nessuno delle proprie azioni? Una pace duratura e solida può essere solo una pace giusta”.
M. Chiara Biagioni
Agensir - Foto: AFP/SIR