“Un documento equilibrato, che mette al centro lo sguardo contemplativo”. Mons. Filippo Santoro, dal 2012 arcivescovo della diocesi di Taranto e presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace della Cei, ha partecipato come padre sinodale al Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre scorso. Santoro ha vissuto in Brasile 27 anni, molti dei quali da vescovo.
Eccellenza, alla luce della sua esperienza, in cosa questa Esortazione è diversa?
“Questo documento ha uno spessore profetico speciale,
perché insieme con l’analisi e la denuncia della violazione dei diritti umani in Amazzonia, del problema ambientale e di quello sociale e culturale, mette in evidenza, con uguale ardore, la dimensione ecclesiale. Una visione che è chiara già a partire dai numeri”.
Dai numeri?
“Certamente. Nella proporzione tra i quattro sogni che cita (sociale, culturale, ambientale ed ecclesiale, ndr) quello ecclesiale è composto di 50 numeri su 111. Quasi la metà del testo. Al numero 62 dice:“Pur volendoci impegnare con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo”. È lapidario. Per coloro che lo hanno incontrato, è inevitabile parlare di Cristo e portare agli altri la sua proposta di vita nuova”.
Dove si coglie di più la tenerezza di Francesco?
“Il Papa usa una parola splendida: querida. In italiano lo traduciamo con l’aggettivo cara ma è di più. Significa amata, desiderata.
Questa esortazione è, prima di ogni cosa, una lettera d’amore per l’Amazzonia, perché i suoi sogni di rinascita si possano realizzare”.
Al di là della questione amazzonica, l’esortazione lancia un messaggio anche al mondo occidentale?
“Ci racconta la cosmo visione amazzonica. Loro hanno una idea della vita incentrata sul legame che esiste tra l’essere umano e le piante, l’acqua, la terra. È un unicum rispetto alla relazione con gli altri esseri umani. Noi invece accumuliamo beni senza cura della Terra. Si basa tutto sulla produzione, sul consumo di cose e persone.
Nella visione dell’Enciclica Laudato Si’ e nell’esortazione, ritorna invece, il concetto del vivere felici con l’essenziale.
In fondo, qui c’è sotto un problema: come riempire un vuoto di felicità. I cattolici hanno in questo senso una responsabilità in più: mostrare che quel vuoto lo riempie Qualcuno che si fa vicino a noi, ci vuole bene. E questo tema lo svilupperemo nella Settimana Sociale a Taranto”.
Non è facile, c’è un mondo intorno che racconta un’altra verità. Ed il Papa ricorda che a farne le spese rischiano di essere proprio i giovani indios.
“Ovviamente ci vuole un lavoro sull’educazione. Io l’ho sperimentato in Brasile: quando i giovani indios arrivano nella grande città sono sedotti, non badano più alla loro storia, distruggono se stessi, la loro cultura. Nel capitolo sul sogno ecclesiale, si parla dell’inculturazione, cioè del Vangelo che deve assumere i valori delle culture. Dice il Papa: “il Vangelo eleva e purifica tutte le culture”“.
C’è un messaggio che secondo Lei questa esortazione lancia anche alle altre periferie del mondo, compresa Taranto?
“Amare il luogo in cui si è. Dobbiamo amarla, Taranto.
Ciascuno di noi deve farsi ferire dai problemi, dalla situazione ambientale ed occupazionale che ci affligge, dai giovani che se ne vanno. E poi in questa terra amata, torna centrale l’annuncio del Vangelo come possibilità di una vita nuova”.
Perché per delineare lo scenario, il Papa fa così ricorso alla poesia?
“Perché lo sguardo sul Mistero si prende dai poeti, dagli scrittori. Lui si richiama maggiormente a quelli latino americani. Non è un’esortazione scritta da un’analista sociale. Fa vedere il dramma ma anche la luce che può venire fuori dalla crisi”.
La stampa si aspettava nell’esortazione una risposta chiara su temi come l’introduzione dei viri probati e le donne diacono. Partiamo dalle donne?
“In Amazzonia le donne riuniscono la comunità, predicano, fanno la liturgia della Parola. Il Papa ribadisce che “Per tanti anni le donne hanno mantenuto la fede senza i presbiteri”. Il ruolo della donna come animatrice di comunità è riconosciuto. Clericalizzarla non vuol dire valorizzarla. Invece la donna deve sviluppare i propri carismi: la maternità, la cura, il dono. Nella Chiesa c’è san Pietro e c’è Maria. E Maria è più importante di san Pietro”.
Sui viri probati? Non vengono proprio nominati.
“Il vero problema, e l’ho detto nel mio intervento al Sinodo, non è trovare un modo per riparare la scarsità di preti, è domandarci perché non siamo capaci di suscitare l’entusiasmo al dono totale della vita a Cristo.
E poi serve una distribuzione più equa dei preti nel mondo. Lui lo ribadisce”.
In Puglia la penuria di vocazioni è meno avvertita. Perché?
“Perché c’è una pietà popolare sviluppata ed una cura maggiore alla formazione dei futuri preti, anche con il seminario regionale maggiore di Molfetta. La secolarizzazione non è arrivata del tutto e si crede al Mistero. La via d’uscita si trova per traboccamento, come dice il Papa al n.105, trascendendo la dialettica, che limita la visione, per poter riconoscere qualcosa di più grande che Dio ci sta offrendo”
Ma come l’hanno presa in Sud America questa esortazione?
“I miei amici vescovi mi raccontano della gioia della gente, che si è sentita considerata, querida, appunto. Tra gli intellettuali, invece, c’è chi dice a denti stretti che il Papa avrebbe dovuto parlare dei viri probati ma non era quello il tema, non aveva senso inserirlo”.
Marina Luzzi - Agensir