«La lingua di sant'Antonio, benché fosse stata sotto terra per trentadue anni, era cosí fresca, rossa e bella, come se il padre santissimo fosse appena morto».
La lingua incorrotta
L’8 aprile 1263, domenica in albis, in occasione della esumazione del corpo di sant’Antonio, per deporlo in una nuova cassa entro un sepolcro piú dignitoso, nella parte ormai terminata della basilica in costruzione, presente il settimo generale dell’Ordine francescano, san Bonaventura da Bagnorea, mentre il resto del corpo era ridotto in polvere, «la lingua di sant'Antonio, benché fosse stata sotto terra per trentadue anni, era cosí fresca, rossa e bella, come se il padre santissimo fosse appena morto».
Ce lo fa sapere (ed è la piú antica testimonianza), la “Benignitas”, d’una decina d’anni appena posteriore all’avvenimento. Meno preciso nel conteggio degli anni di sepoltura, ma con particolari interessantissimi, un panegirico in lode di sant’Antonio, tenuto nella basilica del Santo da un francescano sul finire del secolo, ci informa che «verificarono la cosa non soltanto i frati, ma anche moltissimi laici, specialmente i dodici degni di fede eletti dal Comune di Padova, i quali poi ne resero testimonianza al Papa».
Del 1293 circa è la “Raimondina”. Scrive: «La lingua del santo, ch’era stata tromba di Cristo, strumento dello Spirito Santo e paletto bronzeo del Tabernacolo, fu trovata talmente integra ed aguzza che pareva proprio d’un uomo vivo».