Se la sofferenza degli innocenti non ci tocca

Insieme a Papa Francesco, vogliamo credere e sperare che da questa crisi attuale emergerà una nuova umanità capace di riconoscere ad ogni essere umano il diritto di vivere con dignità. La “civiltà dell’Amore” non è un’utopia. Essa infatti ha le sue radici nel cuore del Dio Bambino. Lui sa cosa significa essere perseguitati, odiati, esclusi, scartati e non voluti. Ma in quella notte, ha brillato una Luce che ha avvolto il mondo, ricordando per sempre che tutti gli uomini, partendo dai più fragili e indesiderati, sono amati dal Signore. Dobbiamo ripartire da Betlemme quindi, per fermare la strage degli Innocenti. Solo così potrà risplendere il candore della luce che nasce dal cuore dei bimbi, la sola luce che può ancora guarire le ferite del cuore umano

La “festa” dei Santi Innocenti ci richiama alla tragedia della follia umana. L’odio di Erode per il Bambino Gesù, deflagrerà su degli infanti ritenuti “un pericolo ed un ostacolo” al suo delirio di onnipotenza.

È la perversione del cuore umano, che non di rado, si scarica sugli indifesi e i più deboli. Ancora oggi i bambini sono oggetto di questa malvagità: abusi, sparizioni, violenza cieca fino all’infanticidio dell’aborto che, secondo le statistiche dell’OMS, ogni anno nel mondo intero elimina 56 milioni di bambini nel grembo materno.

E quando non è la violenza, è la guerra a colpire la parte più indifesa dell’umanità. Impossibile dimenticare il piccolo Aylan, il bambino siriano morto annegato e spiaggiato sulla costa di Bodrum in Turchia. Quell’immagine resta l’espressione dell’indifferenza dell’Europa e del mondo verso la tragedia vissuta da un popolo abbandonato.

Ma lo choc provocato da quella drammatica foto non basta, bisogna agire. “La terza guerra mondiale a pezzi”, come dice il Papa, ha ridotto in macerie la città di Aleppo, in Siria, i villaggi cristiani della Nigeria, le piccole città del Kivù nella zona dei Grandi Laghi in Africa. Situazioni di crisi, nuove e antiche, che portano “a morire di fame milioni di bambini, già ridotti a scheletri umani – a motivo della povertà e della fame –, regna un silenzio internazionale inaccettabile” (Fratelli Tutti n. 29).

E non è proprio l’indifferenza la malattia dell’anima del mondo contemporaneo? Bene lo ricordava la senatrice Liliana Segre, da vittima della Shoah, denunciava infatti che “l’indifferenza è peggio della violenza, perché dall’indifferenza non puoi difenderti”.

Ecco perché la memoria del passato resta l’antidoto più potente e il mezzo più efficace per aiutare le nuove generazioni a crescere con un più profondo senso della giustizia e della solidarietà fraterna.

Nell’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti” troviamo la chiave per l’odierna festività. Essa infatti ci mostra il sogno di Dio verso un’umanità rinnovata dall’unica forza capace di far cambiare direzione ad un mondo in rotta di collisione: l’amore fraterno. Solo così la strage degli Innocenti potrà trasformarsi nel trionfo degli Innocenti.

Un sogno che giorno dopo giorno sta diventando realtà tra i giovani della mia Parrocchia, San Nicola di Bari di Roccella Jonica, diocesi di Locri-Gerace. Per due mesi (ottobre e novembre) abbiamo letto e meditato insieme la stupenda Enciclica di Papa Francesco e questo ha suscitato in loro il desiderio di realizzare il grande presepe parrocchiale proprio ispirandosi all’Enciclica.

Dopo aver individuato nella Porziuncola di Assisi (terra di ispirazione per il Papa e sede della firma della lettera) il luogo ideale nel quale inserire la Natività, i ragazzi, allargando lo sguardo, hanno deciso di mettere sullo sfondo una gigantografia della città di Aleppo distrutta dai bombardamenti. Un modo per ricordare che là dove l’uomo non lascia entrare Dio, la pace viene distrugge e i conflitti deflagrano senza pietà con delle immani distruzioni che uccidono popolazioni inermi e bambini indifesi. “Il presepe che abbiamo realizzato – diceva uno dei giovani – ci ha permesso di aprire gli occhi sulla piaga delle guerre dimenticate”.

Prima di diventare parroco, sono stato per anni Africa e come sacerdote missionario ho vissuto la guerra del Ruanda, quella dell’ex Zaire e quella del Congo Brazzaville. Ricordo gli orrori visti nel nostro ospedale di Kabinda (Repubblica Democratica del Congo), crocevia di fuga per il popolo degli Hutu massacrato dai Tutsi. Immagini e situazioni che restano scolpite nella mia memoria e mio cuore. Ricordo il flusso ininterrotto di migliaia di profughi. Ogni giorno si accampavano nei pressi del nosocomio gestito dalla Comunità delle Beatitudini, del quale ero direttore, per trovare rifugio e riparo dai militari che li inseguivano per eliminarli.

Ricordo il “venerdì santo” del 1997. Era l’alba, e mentre passavo nel campo per portare qualche di biscotto e un po’ di latte caldo, sentii in lontananza il pianto di un bambino. Avvicinandomi, con l’orecchio teso, e muovendomi a fatica su un “tappeto di persone” distese a terra, mi trovai dinanzi a una scena raccapricciante. Una donna, una madre, giunta nella notte, stremata dalla fatica di un viaggio di 10 giorni durante i quali aveva percorso più di 150 Km a piedi, provata dagli stenti e ferita a morte da un colpo d’arma da fuoco, mi porgeva il suo piccolo. Mi piegai su quella donna, di cui non sapremo mai il nome, e mi resi subito conto che era deceduta da poco, ma la sua piccola cercava ancora il suo seno. Presi quella bambina, aveva appena 7-8 mesi. Dopo non poche peripezie e grazie all’aiuto dall’ambasciatore del Congo Brazzaville, riuscii a portarla in salvo. Anuarite, questo il suo nome, venne adottata da una coppia di amici calabresi che non avevano figli e poco tempo fa, ho saputo, si è laureata in Scienze Infermieristiche. Che gioia!

Oggi sono un parroco nella città di Roccella Jonica, in Calabria, ma anche adesso ho a che fare, quasi quotidianamente, con un flusso ininterrotto di profughi che sbarcano sulle nostre coste provenienti dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente. Nella stragrande maggioranza sono ragazzi minorenni, spesso non accompagnati, che arrivano con la speranza di una vita bella. Questo dice che oggi, come 50, 100 o 500 anni fa, si parte o si scappa dalla propria terra o per cercare un futuro migliore, o per sopravvivere a guerre, persecuzioni o carestie. Eccoli, sono i “santi innocenti” del nostro tempo, ragazzi, giovani madri figli appena nati o di pochi mesi, che fuggono dalla fame e dal dolore, e portano negli occhi gli orrori della guerra che flagella il loro Paese (Afganistan, Iraq, Siria, Iran).

Quando quattro anni fa Papa Francesco chiese a tutte le Parrocchie di accogliere dei migranti, non immaginavamo quali sarebbero stati i frutti per la nostra piccola realtà parrocchiale. I tre ragazzi nigeriani da noi ospitati hanno fatto uno straordinario cammino di integrazione culturale e sociale che si è concluso in maniera stupenda. Samuel è oggi un calciatore affermato in una squadra francese; Joshua lavora in una cooperativa locale e Salomon si è sposato lo scorso anno con una ragazza della nostra comunità e io stesso ho celebrato il matrimonio. Vedere lui e la sua sposa, la notte di Natale, sereno e felicemente integrato nella nostra comunità è stato bello e ha provocato in noi una gioia immensa.

Ecco perché Papa Francesco ci mette in guardia dai nazionalismi che spesso si traducono in xenofobia e razzismo. Ecco perché ci invita a vedere in questi bambini e in questi ragazzi Gesù stesso che sbarca sulle nostre coste. Ecco perché ci ricorda che questi uomini non vanno trattati come lo “scarto” dell’umanità.

Se il dolore dei piccoli, la sofferenza degli innocenti, il dolore di una madre che non può offrire un futuro migliore a un figlio non ci tocca, allora dobbiamo cominciare a preoccuparci perché forse siamo stati contagiati. Stavolta però non dal Covid-19, ma dal peggior virus che potrebbe colpire il cuore umano: il cinismo.

Quando sento nelle news di neonati abbandonati nei cassonetti della spazzatura, o rifiutati in una corsia di ospedale da una madre che non lo vuole riconoscere, o massacrati dalla follia di genitori senz’anima solo perché non sopportano il loro pianto, non posso non fare il confronto con la festa della vita che si celebra in Africa quando nasce un bambino.

Ricordo ancora con stupore i canti e le danze di un gruppo di uomini e donne che, sotto un diluvio torrenziale, celebravano con una gioia indescrivibile la nascita di un bimbo avvenuta in condizioni precarissime, dentro un’ambulanza ferma in mezzo ad una strada fangosa a causa della pioggia.

Questa è la festa degli Innocenti: l’accoglienza della vita sempre e comunque, la difesa dei più indifesi, bambini, contro ogni orrore e discriminazione

Per questo, insieme a Papa Francesco, vogliamo credere e sperare che da questa crisi attuale emergerà una nuova umanità capace di riconoscere ad ogni essere umano il diritto di vivere con dignità. La “civiltà dell’Amore” non è un’utopia. Essa infatti ha le sue radici nel cuore del Dio Bambino. Lui sa cosa significa essere perseguitati, odiati, esclusi, scartati e non voluti. Ma in quella notte, ha brillato una Luce che ha avvolto il mondo, ricordando per sempre che tutti gli uomini, partendo dai più fragili e indesiderati, sono amati dal Signore.

Dobbiamo ripartire da Betlemme quindi, per fermare la strage degli Innocenti. Solo così potrà risplendere il candore della luce che nasce dal cuore dei bimbi, la sola luce che può ancora guarire le ferite del cuore umano.

 

Francesco Carlino
Agensir