Oggi si conclude l’Anno Ignaziano indetto il 20 maggio 2021 per festeggiare i 500 anni dalla conversione di Ignazio di Loyola: è già di per sé molto eloquente che non si sia voluta festeggiare la nascita, o la ricorrenza di qualche specifico evento concreto, bensì il processo interiore della sua conversione, che non è stata altro che la sua vera ed effettiva nascita e, al contempo, l’incipit di una rinascita complessiva per la Chiesa e per il mondo di allora.
Naturalmente la dinamica interiore della conversione non potrebbe essere in alcun modo datata da altri, risultando empiricamente inattingibile; pertanto si ancora il processo a un periodo, quello in cui Ignazio era a Manresa e nell’incubatrice della “Cueva” si trasformava, deponendo non solo l’uomo vecchio, ma anche le prime forme posticce e superficiali di uomo nuovo, fino a semplificarsi in puro sguardo contemplativo, capace di vedere Dio in tutte le cose, e tutte le cose in Dio.
Ci sarebbe molto da dire sul tempo di Ignazio a Manresa – e in effetti moltissimo è stato detto e scritto!
Tuttavia oggi, forse proprio perché attualmente mi ci trovo, vorrei parlare di un altro luogo fondamentale per sant’Ignazio, che ha preceduto e accompagnato le vicende di Manresa: il monastero benedettino di Montserrat, Santuario di una delle “Madonne nere” più note e venerate. Mi guardo intorno, e osservando le punte tondeggianti delle vicine cime, simili a dita che racchiudono il luogo santo, ricordo che qui Ignazio ricevette due doni fondamentali per la sua conversione.
Anzitutto, qui a Montserrat egli celebra la sua confessione generale: “nel corso di tre giorni si impegnò nella sua confessione generale, mettendo tutto per iscritto. Affidò pure al confessore l'incarico di far ritirare la mula e di appendere la spada e il pugnale nel santuario, all'altare di nostra Signora” (Autobiografia, 17). La rinuncia alla sua vita vecchia avviene dunque tramite un gesto simbolico, e cioè la consegna delle sue armi, simbolo delle sue pretese, delle sue vanità e delle sue paure, e della mula del fratello, espressione di abbandono di qualunque comodità, scorciatoia o dipendenza dalla sua origine.
Iñigo impara dai monaci a confessarsi (prepara la sua confessione su un testo dell’abate Cisneiros), ma anche a pregare con frutto, e questo è il secondo dono di Montserrat al nostro amato Pellegrino basco. È dai monaci che Iñigo apprende come tuffarsi nella Scrittura, ruminandola per trarne il succo contemplativo che nutre l’affettività: “Infatti non è il sapere molto che sazia e soddisfa l'anima, ma il sentire e gustare le cose internamente” (Esercizi Spirituali, 2). Quella tendenza contemplativa che già gli era sicuramente innata per la ricchezza pittorica e iconografica delle chiese dei suoi tempi, con quei grandi e sontuosi “retabli” che illustravano dietro gli altari i misteri della vita di Cristo e dei santi, con la disciplina benedettina diventa sobria, essenziale, scritturiale. È l’anima che deve imparare a comporre i luoghi e dipingere le sue immagini interiori, guidata dallo Spirito.
Esame di coscienza e preghiera contemplativa: sant’Ignazio, e la Compagnia che avrebbe fondato, e con la quale avrebbe rinnovato la Chiesa e cambiato il volto dell’Europa portandola dal Medioevo alla modernità, deve alla tradizione monastica la sorgente della sua vita spirituale. Possiamo dire che ancora una volta san Benedetto, stavolta tramite sant’Ignazio, ha salvato la Chiesa e l’Europa dalla barbarie, come già ai tempi delle prime fondazioni monastiche, scrigni d’inventiva e fucine di cultura umanizzante, oltre che di fede.
Non possiamo non vedere anche per noi, oggi, nella via percorsa da Ignazio e inaugurata da Benedetto, la strada da percorrere per salvarci di nuovo dalla barbarie. Gli elementi fondamentali del monachesimo delle origini, e cioè la vita di comunione e condivisione, la custodia e la trasmissione dei migliori prodotti della cultura umana, la sintonizzazione sui ritmi del tempo e della natura per un’ecologia integrale vissuta nel quotidiano e, soprattutto, la centralità della vita interiore, costituiscono il migliore antidoto al degrado e alla frammentazione che attualmente stanno portando l’umanità, sballottata da pandemie, conflitti bellici, disastri naturali e crisi economiche, alla perdita complessiva di speranza.
Millecinquecento anni fa l’Europa, devastata dalle invasioni barbariche, risorse grazie ai monasteri; cinquecento anni fa un ambizioso cortigiano basco, devastato da una cannonata tra le gambe, risorse quale maestro di fede grazie alla spiritualità benedettina di Montserrat; anche oggi l’umanità, devastata da mille crisi esteriori e interiori, può trovare nella saggezza monastica una via di scampo e un principio di rinascita.
Accetteremo con umiltà di tacere e metterci ad ascoltare?
Alessandro Di Medio
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