Sono giorni convulsi quelli che stiamo vivendo e le settimane che ci aspettano si annunciano particolarmente difficili. La nostra società è stretta tra l’incudine della pandemia e il martello della sostenibilità economica e sociale da affrontare. La tutela della salute da una parte e la preoccupazione “per il pane” dall’altra. Quanti sono chiamati a governare devono prendere decisioni difficili; quanti sono chiamati a fidarsi delle istituzioni devono fare i conti con le necessità quotidiane e il dramma crescente dell’indisponibilità dei mezzi di sussistenza.
Come cristiani, come discepoli del Signore Gesù facciamo parte di questa storia e siamo chiamati a “splendere come astri” proprio in questo mondo affaticato e preoccupato. La domanda si pone per ogni battezzato e per ogni comunità che ritrova la sua linfa vitale celebrando l’Eucaristia in cui fa memoria della Pasqua di Cristo Signore “nell’attesa” della sua venuta. Potremmo formulare la domanda in questi termini: «Come trasformare quello che stiamo vivendo, come e con tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità, in un tempo da cristiani?».
Gli antichi avrebbero scritto un testo profetico-apocalittico per aiutarsi a capire gli eventi e trovare la forza per conservare la speranza senza cedere all’ingenuità e cadere nel laccio dell’angoscia. La liturgia delle prossime settimane, tra la fine dell’anno liturgico e l’inizio di un nuovo Avvento, ci offriranno ancora una volta stimoli importanti per riflettere e decidere come essere testimoni affidabili di speranza in tempi particolarmente difficili. La perla di un testo della tradizione può illuminare e orientare il nostro cammino di discepoli chiamati ad essere “sale della terra e luce del mondo” in modo sereno e discreto.
Così leggiamo nella Lettera a Diogneto:
A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani. L'anima è diffusa in tutte le parti del corpo e i cristiani nelle città della terra [...] l'anima è racchiusa nel corpo ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono nel mondo come in una prigione, ma essi sostengono il mondo; anche i cristiani vivono come stranieri tra le cose che si corrompono, aspettando l'incorruttibilità nei cieli (A Diogneto, VII)
Il nostro dovere di sostenere il mondo e di collaborare alla pace e alla gioia passa, in questo momento di prova, attraverso una capacità di fare il primo passo. Sta a noi di fare il primo passo nella linea della capacità di rinunciare a tutto quello che ci sembra giusto dover sospendere per preparare tempi non solo meno faticosi, ma possibilmente nuovi. Se la pandemia ci ha obbligato, in primavera, a vivere una sorta di Quaresima esistenziale condivisa con tutti i nostri fratelli e sorelle in umanità anche non credenti, allora possiamo riprendere l’esortazione che Benedetto fa ai monaci nella Regola: «Ciascuno spontaneamente, nella gioia dello Spirito Santo, offra a Dio qualcosa di più della misura che gli è imposta / propria voluntate cum gaudio sancti Spiritus offerit…» (RB 49, 6).
Per vivere questo tempo di prova e trasformarlo in un tempo da cristiani siamo chiamati a fare spazio all’avverbio: spontaneamente. Prima che una serie di restrizioni e di obblighi ci vengano imposti dovremmo già aver deciso di rinunciare a partire dalla sapienza del cuore. In tal modo potremo aiutare quanti fanno più fatica a rinunciare o sono messi in difficoltà dalle restrizioni a trovare il modo di vivere tutto questo come una necessità e non come una ingiustizia.
Come discepoli e come comunità siamo chiamati a dare l’esempio di poter rinunciare spontaneamente e prima che ci venga richiesto e imposto dalle autorità. Facendo così potremo aiutare noi stessi e coloro che fanno più fatica a rinunciare alle loro abitudini e consuetudini a vivere il grande salto di qualità umana richiesto a tutti: passare dai diritti acquisti ai doveri condivisi.
Nella tradizione cristiana ogni volta che si rinuncia a qualcosa, si decide al contempo di condividere di più con gli altri. In questo come discepoli del Vangelo siamo chiamati a dare l’esempio sapendo rinunciare anche a tutta una serie di abitudini religiose – cultuali e pastorali - per dare il nostro contributo spontaneo all’attraversamento di questo tempo in forma pasquale. Quello che viviamo è un tempo difficile da gestire, e ancora più complicato da capire. Sia tempo da cristiani quello che stiamo vivendo! Questa modalità dipende dalla nostra libertà interiore che ci dovrebbe rendere capaci di fare il primo passo della rinuncia: spontaneamente e con gioia spirituale.
Come comunità cristiane, dopo aver vissuto in primavera una quaresima esistenziale condivisa con tutti, potremmo vivere ora un Avvento più lungo, ma soprattutto, più vero. Ciò significa non preoccuparsi delle festività natalizie cui già molti pensano con apprensione, ma di permettere al Verbo di farsi carne nella nostra vita per essere <luce> che illumina la storia e conforta il cuore di tutti. Del resto, l’imminente festa di Tutti i Santi e la Commemorazione dei Defunti potrebbe diventare l’occasione liturgica per entrare in un Tempo forte di intelligenza e di amore… spontaneamente e per tutto il tempo necessario.
Come discepoli e come comunità sapremo offrire alla società in cui viviamo un messaggio vissuto in modo unilaterale e condiviso con quanti si vorranno far contagiare dalla sapienza folle del Vangelo?
Fratel MichaelDavide, osb
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